Chiara e Filippo hanno sempre aiutato e sostenuto gli Oratori e la Comunità Pastorale. Oggi sono pronti ad un nuovo capitolo della loro vita, hanno fatto una scelta che li porterà in missione fuori dalla nostra città. Abbiamo pensato che non potevamo lasciarli andare senza che tutti potessero sapere la loro storia. Ecco allora l’intervista di Pastorale giovanile in cui si presentano e ci spiegano come sono arrivati alla loro scelta.
Come vi chiamate, quanti anni avete e che lavoro fate?
Siamo Chiara e Filippo, abbiamo rispettivamente 26 e 31 anni. Chiara è educatrice e antropologa e ha lavorato nella fondazione Portaluppi per due anni e al Consorzio FA per uno, ricoprendo il ruolo di educatrice e progettista. Filippo dopo aver fatto due brevi esperienze in azienda, è stato docente presso i Salesiani di Treviglio, per quattro anni.
Ora per la prima volta lavoriamo insieme come missionari laici volontari.
Come vi siete conosciuti?
La prima volta che ci siamo visti era al campeggio famiglie in Val Senales nel 2007, avevamo rispettivamente 11 e 16 anni, ma ovviamente non ci siamo considerati molto! Ci siamo conosciuti meglio e abbiamo iniziato a guardarci con più attenzione durante la preparazione alla Missione Giovani del 2015, quando Chiara è entrata nel gruppo giovani.
La nostra relazione è iniziata l’anno successivo.
Quali servizi/esperienze hanno caratterizzato la vostra vita in oratorio e nella comunità?
Dopo aver seguito il normale cammino di formazione proposto dalla comunità, la nostra prima esperienza di servizio è stata all’oratorio feriale. Poi entrambi abbiamo fatto gli educatori dei gruppi preadolescenti e adolescenti, collezionando quasi tutte le proposte invernali ed estive (campeggio in primis). Filippo è stato anche educatore del gruppo 18-19enni e del percorso di formazione per gli educatori.
Siamo stati inoltre entrambi membri del Consiglio Pastorale, durante due mandati differenti. Fra tutte, l’esperienza più bella e importante è stata la collaborazione e l’incontro con le equipe di educatori in cui abbiamo lavorato per anni e con cui abbiamo potuto stringere legami forti e sinceri. Questo e il servizio con i ragazzi ci hanno fatto crescere molto, soprattutto a livello umano e di fede.
Cosa vi ha spinto a iscrivervi al percorso dell’ALP?
Abbiamo conosciuto il percorso per vie traverse: Filippo durante la sua esperienza al PIME ha conosciuto un ragazzo trevigliese (Enrico Pietroboni), che stava facendo questo servizio missionario. Inoltre i genitori di Chiara appena sposati avevano fatto un’esperienza simile. Tutte queste storie ci affascinavano e parlandone, diventavamo sempre più curiosi di sapere se questo poteva dare qualcosa anche alla nostra vita. Abbiamo preso coraggio e abbiamo fatto un colloquio con i responsabili dell’ALP, che ci hanno tranquillizzato, dicendoci che iniziare il percorso non significa necessariamente partire, perché il percorso serve appunto a discernere. Con un po’ di titubanza ma con tanta curiosità, abbiamo deciso di iniziare questo cammino che dura due anni, vivendolo a cuore aperto.
Ci sono state testimonianze di missione che hanno alimentato il vostro desiderio di partire?
Tantissime e tutte diverse tra loro, alcune anche negative. La cosa più bella è che non sono state solo testimonianze di persone che hanno vissuto la dimensione missionaria della loro vita in un paese straniero. Missione non significa solo lasciare il proprio paese. Abbiamo avuto la fortuna di entrare in contatto con famiglie, single, padri e suore che ci hanno mostrato una grande gioia e ci hanno raccontato di una vita bella e vissuta con pienezza.
Per noi, le testimonianze e gli incontri più importanti, non sono stati solo quelli di chi aveva già fatto la scelta di partire, ma di chi la stava facendo, proprio come noi. Abbiamo potuto condividere con molte persone le gioie, le fatiche, le paure e le attese che questo percorso ci ha donato.
Cosa vi aspettavate prima di iniziare il percorso e oggi cosa vi aspettate dalla vostra missione?
Domanda difficile: le aspettative non sono il nostro forte! Abbiamo iniziato il percorso con la speranza di crescere come coppia e di poter comprendere cosa significhi la parola “missione” per noi. Oggi, abbiamo risposto a queste domande e desideriamo immergerci fisicamente in questa nostra scelta.
Speriamo che questa esperienza non sia altro che una condivisione della nostra quotidianità, nel bene e nel male, con tutte le persone che il Signore ci porrà accanto.
Dove siete stati destinati?
Siamo stati destinati in Guinea-Bissau, un piccolo stato dell’Africa Occidentale. Con precisione nel villaggio di Catió, che si trova nel sud del paese.
Che ruolo svolgerete nel progetto che vi è stato affidato? E quanti anni durerà?
Il nostro progetto-K (progetto di sviluppo) consiste nel supportare il lavoro che i padri del Pime già stanno facendo a Catió e nei villaggi vicini. Il nostro lavoro sarà aiutare nel coordinamento delle cinque scuole elementari di autogestione esistenti, e realizzare una rete di formatori per i docenti. Inoltre ci affideranno la gestione di altri piccoli lavori, come gli affidi a distanza e le rendicontazioni dei progetti. Oltre a questo affiancheremo i padri nei percorsi di catechesi. Tutto il progetto avrà una durata di tre anni. Sì, sembra tanto, ma tre anni volano!
Come avete vissuto il vostro viaggio in Guinea Bissau nel mese di agosto? Vi ha aiutato a confermare la vostra scelta o vi ha spaventati?
Dopo il matrimonio, a luglio dello scorso anno siamo andati a visitare la missione dove siamo destinati. Questo è un momento decisivo nel percorso dell’ALP, perché è il momento in cui si tocca con mano la realtà in cui si potrebbe andare a vivere. Bisogna capire se quel luogo, con tutte le sue difficoltà, possa diventare casa.
Per Chiara il primo impatto non è stato esattamente idilliaco, anzi. Ha impiegato un po’ a capire dov’era e la prima sensazione è stata il desiderio di prendere un volo e tornare subito in Italia. In quel momento tutti i bei propositi e le attese che ci accompagnavano, si sono scontrati con una realtà vera e concreta. La paura e la sensazione di sentirsi fuori posto, sono stati i sentimenti caratterizzanti il primissimo periodo. Ci sono voluti alcuni giorni (e una pulizia profonda del bagno) per tranquillizzarsi e guardare oltre il proprio naso. Da quel momento è stata pura meraviglia e
bellezza. In molti momenti abbiamo percepito dentro di noi una grande gioia! Ci sono stati anche altri elementi di prova, tra cui il clima, la malattia e gli animali. Tutte cose che si possono serenamente superare.
Questa esperienza ci ha sicuramente spaventato, ma nello spavento e nella concretezza della realtà abbiamo trovato le nostre conferme! Quando siamo tornati in Italia non abbiamo detto subito il nostro sì, abbiamo avuto bisogno di un
po’ di tempo per metabolizzare quanto avevamo visto e vissuto. Possiamo però dire che quel momento ci ha permesso di discernere e vivere con più consapevolezza la nostra scelta. Il sì è arrivato spontaneamente, perché nel nostro cuore continuavamo a sentirci chiamati a partire.
Qual è il consiglio che lascereste ad un/a giovane che ha nel cuore il desiderio di partire in missione come voi?
“Come il vignaiolo paziente si prende cura del fico, che da molto tempo non da frutto, così anche noi dobbiamo prenderci cura dei nostri sogni, perché un giorno potranno dare frutti che solo Dio conosce!”
(Lc 13, 6-9)
A un giovane consiglieremmo di interrogarsi sul desiderio che sente, facendosi aiutare da altri, per capire qual è la dimensione missionaria che è più giusta per la sua vita. Prendersi cura di questo desiderio è capire in primo luogo qual è la missione a cui sono chiamato. E la ricetta per noi è farsi tante domande e non smettere mai di cercare le risposte, lasciandosi guidare dal Signore e accompagnare dai nostri fratelli, sempre con il cuore aperto.